mercoledì 9 maggio 2012

(RED)EO IS IVI ITUM IRE

Dentro al precario equilibrio dei corpi


andanti sotto l'emblematico cielo di


questo mio giorno


che non sa se ridere


che non sa se piangere


e cela il dubbio nella catacresi


di un sorriso incerto,


e nella brama vorace delle idee


ansimanti tra i vuoti a perdere di


questo mio giorno


che non sa se ridere


che non sa se piangere


e cela il dubbio nell'amnistia


di uno sguardo perso,


dalla polvere etere lame e cemento


dalle fibre carne fiato e sgomento,


poi ancora dentro


questo mio ibrido giorno


e camminare ascoltare


respirare pensare come 


se mai avessi respirato


ascoltato camminato


pensato la vita implodere


nell'orbita di se stessa ed


occupare gli infiniti spazi


antistanti il suo primordiale spiro.

DI VITA D'AMORE E MORTE.

Il rimorso che annerisce il mio stesso sangue,
è così difficile da spiegare questo senso di colpa
talmente arduo intenderlo decifrarlo,
così crudele possederlo.
La mia carne è un debito che stringo con me stessa,
proiezione somatica di quel che sento.




Dove sei? Dove sei andata dove ti hanno portata
quando ti hanno tolto le bende dove sei fuggita
in quale fiordo ti sei rifugiata, da quale veduta
osservi il tormento della tua ricerca?




Ed ho imparato a muovermi insieme alla
gabbia che mi hanno modellato addosso
così ho visto occhi guardarmi in modo diverso
difforme e simile al mio modo perverso,
ma ogni volta che osservo me stessa e non
m'intuisco capisco percepisco, ogni volta
ancora una volta la mia immagine resta
riversa nel suo riflesso e la mia anima
contorta in un compromesso.




E ho fecondato queste sbarre lucenti e gelide
con le pelli delle fragole che raccolsi nel puerile
bosco dell'età novella, quando uno sciame di
vespe banchettò sulla mia testa ed io vidi sfiorire 
i miei anni assieme a quella carminia essenza,
l'ho fatto per sapere se qualcosa sarebbe nato,
e delle gemme son spuntate da questo mio
adorno dolore si sono levate, però mai mai mai
ho potuto ammirarle nel loro sbocciare
ferme nel tempo sono tutte le morti che
in esso si sono stanziate...




crivellato annegato crocifisso impalato
pugnalato sventrato squartato lapidato
giustiziato trafitto strangolato linciato,
povero spirito mio, ho massacrato il tuo
fulgore così tante volte,
tutte le volte che la vita m'ha abbandonata
o che io ho abbandonato lei e
tutte le volte che ho smarrito la strada
o lei s'è dissestata e quelle in cui non
riuscivo potevo volevo vedere la luce
o lei s'era oscurata, tutte le volte ho
lasciato che la mia anima precipitasse nel nulla
poichè nell'imperversare del flusso ho appreso
il modo in cui si rinasce e l'ho scoperto a mie spese,
perciò io ho già saldato il mio dazio e
adesso vorrei sapere se queste mie gemme 
potrò mai vederle fiorire, se esiste e dov'è
il mio porto la mia terra promessa
il luogo in cui potrò riposare in pace.  

IN QUESTA STANZA.

In questa stanza dal soffitto di sabbia


in questa stanza col pavimento di foglie,


è tutto sconnesso qua dentro


nulla esiste che sia al suo posto ed io,


io che avevo giurato che mai più l'avrei fatto,


beh, anch'io son fuori posto:


sto celebrando il demonio dai cerei occhi


ed ancora a lui mi concedo in pasto,


ancora ancora ancora e ancora,


come se mai gli avessi dato il finale abbraccio


come se mai se ne fosse andato e


in effetti non l'ha mai fatto.


Eppure l'avevo giurato, mai più mai più


sarebbe successo, ma sono ancora qui


in questa stanza col soffitto di foglie


in questa stanza dal pavimento di sabbia


sono ancora qui e mi sto dando in pasto,


sassi in tutti i miei dintorni sassi,


eppure avevo giurato che mai più l'avrei fatto


l'anima mi esplode fuori e schizza da tutte


le parti, me stessa in pezzi sparsi,


sparsi su queste maledette mura di


foglie sabbia e sassi, così ad ogni mio tocco


si sgretola la stanza mentre lavo via il misfatto


e la mia anima mi crolla addosso.

L' ABITO MIO PIU' BELLO.

Mi svegliai e mi levai


guardai il sole in faccia 


poichè lui guardava me,


mi spogliai mi levigai e


indossai l'abito mio più bello


poi mi lanciai nel vento e


lui mi strappò i vestiti di dosso,


li vidi volare nel cielo lontano


come lontano nel cielo vola via


la nostra età ed io sapevo


che non sarebbero più tornati


che mai più sarebbero stati 


miei, così nuda come nuda


è l'ancestrale nascita


chiamai forte il suo nome,


forte, così forte che rimasi 


senza fiato ma lei non si 


mostrava a me, così invocai


ancora più forte la sua presenza, 


volevo dovevo incontrarla e


gridavo vibravo urlavo d'agognata


attesa, poi arrivò ed io la guardai,


incredula assorta cupida,


non aveva il corvino mantello


e nemmeno il suo scettro


era nuda nuda come me talmente


nuda che le vedevo attraverso 


e attraverso lei il mondo appariva


velato sbiadito offuscato di


grigio adornato, poi un sibilo


s'impadronì della mia testa:


"Sono venuta perchè tu mi hai chiamato,


nessuno mi chiama mai e quando arrivo


ognuno mi rifugge, per questo sono venuta


perchè tu mi hai chiamato."


"Ti stavo aspettando io volevo vederti,


perciò benvenuta, ti ho chiamato perchè


dovevo incontrarti, ma perchè non hai


con te la corvina effigie, non mi vuoi?


Non mi vuoi con te mia tetra Signora?"


"Sono venuta perchè tu mi hai chiamato


ma ancora non posso farti mia, non posso,


anch'io soggiaccio a regole e non è ancora


il tuo tempo, ancora non puoi abbandonarti


al mio placido abbraccio."


Disse così poi se ne andò com'era


arrivata, intangibile, così intangibile


che l'aria si fece d'acciaio e mentre se


ne andava mi lanciò un'occhiata e le scrutai 


lo sguardo così gelido immenso e rosso


poichè nei suoi occhi scorreva tutto


il sangue dei secoli e nei suoi occhi


zampillava anche il freno del tempo,


ed io ripensai ai miei adorni veli al


modo in cui li avevo persi, chissà


chissà quando l'avrei rivista, perchè


non mi diede una carezza?O una consolazione?


"Signora Morte risponda almeno a questa


mia domanda, mi dica quale è, qual'è


il segreto per vivere?"


Ma le parole mi ripiombarono addosso


sottoforma di pioggia, così chiusi gli occhi


e mi accasciai al suolo nuda sotto l'acqua,


inerme per la mia stessa voce, e quando


tornai a vedere il sole sorridendomi mi


stava a guardare, accanto a me il fiore


arcobaleno era sbocciato e tra i suoi arti


giaceva l'abito mio più bello, 


così mi vestii e mi posai


poi ancora un sibilo nella mia testa


ed era talmente nitido e imponente,


ancora un sibilo nella mia testa


forse un monito oppure una risposta...


"E' morire." .



RAGAZZO CHE FU.

Oggi sono passata da quelle parti sai?


Sono passata davanti a quella casa così graziosa


te la ricordi quella casa così graziosa che avremo


voluto per noi, oggi ci sono passata davanti e


non c'era più, quella casa così graziosa non


stava più lì, abbattuta passata svanita


e c'era una ruspa e c'era un buco,


una ruspa un grosso buco e nessuna casa più,


non c'erano le alte pareti ocra e


nemmeno la porta verde col catenaccio,


non c'erano il sentiero lastricato nè la fontana


di marmo, nemmeno le rose c'erano più.


C'era solo una ruspa che scavava un buco già


scavato, quel buco nato già profondo quel


buco profondo già scavato affinchè nascesse...


ed è arrivato il momento, lo so perchè me lo ha


detto il vento quando ha posato il suo irrequieto


palmo sulla spalla immobile del mio corpo


immobile dentro i suoi immobili pensieri


mentre gli occhi immobili tentavano di mettere


a fuoco l'immobile memoria di una immagine


abbattuta passata svanita.


E' arrivato il  momento, si, me l'ha detto il


vento col suo sibilo tiepido ed io che mi


aspettavo un urlo gelido, ho sentito i miei


battiti sconvolgersi al ritmo della sua voce


così come sconvolta è stat'anche la staticità


di quel momento che è arrivato all'improvviso


insieme al vento, si, inaspettato e brusco


questo gelido momento esploso nel respiro


caldo del vento, questo momento, questo


momento che dell'addio è il momento.


E non ho rimpianti non ho rimorsi e nemmeno


massime da dispensare, no ragazzo che fu


non c'è nessuna lezione da imparare


si è affievolita la fiamma e tu l'hai lasciata


svanire, eppure ti avevo servito me stessa su


un piatto d'argento eppure mi tenevi tutta


nel palmo della tua mano sinistra, cos'è


successo a quel punto ragazzo che eri ragazzo


che fu ragazzo che sei stato il mio amore,


cos'è successo a quel punto cosa hai fatto


e dire che avevi il mio cuore nel palmo della


tua mano sinistra ma non hai mai capito mai tu


hai voluto vedere il mio punto di vista così


hai stretto la morsa ma io ho un cuore selvaggio


e l'anima mia contorta si consuma se la mano cui


si dà è quella del dominio, ragazzo che eri ragazzo


che fu ragazzo che sei stato il mio amore e adesso 


non lo sei più, non ho rimpianti non ho rimorsi e


nemmeno massime da dispensare solo un pò di


rabbia che graffia l'immobile memoria di una


immagine abbattuta passata svanita come quella


casa così graziosa, te la ricordi quella casa così 


graziosa che avremo voluto per noi, abbattuta


passata svanita come l'anemone di luce che mi


scintilla in viso mentre penso che avresti potuto


accogliermi e invece hai cercato di possedermi


mentre percepisco la fine di questa stessa


percezione e mi godo la pace di questo momento,


questo momento che dell'addio è il momento...


Addio ragazzo che eri ragazzo che fu


ragazzo che sei stato il mio amore e


adesso non lo sei più.

UNA DONNA RIVERSA SULL'ASFALTO STAVA.

Allucinata alienata allibita


Una donna riversa sull’asfalto


Stava inerme intrisa, corrotta


Come il sole che le scrosciava addosso


E aveva il corpo coperto di sangue


Dalla testa ai piedi


E dai piedi alla testa


Scarlatta carminia di rosso ammantata,


la donna mondava la colpa nell’ombra


scura della cruenta pozza,


memoria di menome tempo


veemente come uno sguardo


che confonde muta sconvolge


come confusa mutata sconvolta


la donna riversa sull’asfalto stava.


Ed assassina come il ricordo


Conficcò nel profano i pugnali,


lo aveva fatto per dimenticare di


una rosa recisa violata negata


e i pugnali eran le sue unghie


sua la carne in cui le affondava


così la donna riversa sull’asfalto


stava madida persa svilita,


il bocciolo chiuso nella mano


sciupato celato azzannato


come azzannato sciupato celato


diviene un segreto proibito


e il bocciolo stretto nella mano


era l’amore che aveva ceduto


e la donna riversa sull’asfalto


come il suo amore perduto.

L'ELEFANTE.

Chi sei tu che mi guardi?


Non mi guardare


non farlo, non così,


non mi guardare come mi guardi.


Inverecondo il tuo sguardo


come procace è l'ultimo quarto


di luna che sfolgorante appena


prima dell'alba subito traspare


nel cobalto del cielo diurno,


trasparente come me


come nuda divengo quando


guardo il tuo sguardo,


occhi che mi vedono


occhi che mi svelano, occhi


che non dovrei vedere eppure vedo.


Come il roboante tintinnio


delle catene che porto,


grevi pesanti come me


come io mi sento quando


guardo il tuo sguardo,


non mi guardare


non voglio esser vista


conosciuta apprezzata, io


voglio essere l'immagine


che vidi un giorno,


solo pelle solo ossa


come l'immagine che ho visto


solo ossa pelle e un ghigno,


il ghigno sereno del trapasso


di chi ha dissetato la propria


sete con fresca acqua


ed era fango asciutto.

DOLCE e MESCHINA.

Dolce e meschina la furia del tempo


che tacito vortica sui miei dintorni


e tacita anch'io ne seguo l'esempio:


cos'è un gemito se non desiderio soffuso?


Assordante il muto suono di questo mio


pensiero che grida brama insorge


lungo l'assillo della strada sbiadita,


sui fumi e i contorni e sulle immagini


e i giorni, non voglio fermarlo non


posso fermarlo e lui sbatte rabbioso


contro il palmo del vento ma


il vento è bufera che celere spira


così la voce si perde tra queste chimere


giacchè tra gli angoli della coscienza


non mi è concessa la scelta


mai quando inizia la danza.


Chi nelle tenebre non confonde i volti?


Io non gli appartengo nè sono affar vostro


non appartengo neanche a me stessa


io sono demanio solo del Mondo


che così m'ha fatta perciò son ciò che sono,


solo s'innalza ancora il pensier mio e


fugge nella fulminea sfilata di corpi


fluttuanti icone sui loro passi,


e vibra l'incontro di materia e ombra:


conosco questo suono gentile, ne


conosco lo sguardo com'anche il tocco


eppur ora mi pare follia,


eppur ora è un rombo di tuono che


esige la placida ira d'una tempesta 


proibita, la conoscenza non è gradita


ed infine non c'è bisogno che qualcun'altro


sappia del mio dolore, questo nuovo 


dolore di cui non conosco volto e sapore


eppure mi è dolce eppure mi è caro


quando invoca il mio nome 


ed io rispondo impossibile.

SALENTINO.

Quando spira il vento


ma l'oceano quieto pare


la parvenza è placida


ma inquieta la fazione,


così intrecciata la trama


sconosciuti i filamenti:


luccicanti d'aurea membra


o corvini di tetra spoglia?


Però il tempo con la sua corsa


sovente incalza l'oscura falce


e tra l'uno e l'altro despota


sola scelta resta il balzo,


così avventando la tua essenza


tra le acque la percepisci andare


ove sfuma il confine tra cielo e mare. 







SALENTINO: RIPRESA IN DIESIS.


Poi si placa il vento

e l'oceano allor s'infuria,

la scena non più quieta

mette sempre un pò paura..

però, si spiega un pò la vela:

chiaro scuro il mio destino

ma che importa por confino

se del ritmo abbiam dominio?

però, il tempo con la sua corsa

sovente incalza l'oscura falce

e anelando catacresi

sfuma la trama... 

scelgo il balzo.

DI SOGNI E VITA.

E quali effigi scortano il tuo sonno?
Di quali chimere vesti i tuoi sogni?

Vedo il mare,scorgo terre e poi noto un raggio di sole irromper tra le stelle,
là dove gorgheggian le sirene mentre in alto ammantano le fate,proprio là ove
volteggiano i pensieri e dov'anche in effimera danza s'esibiscono i desideri.

Vedo uomini,scorgo donne e poi ancora ore giorni anni,in retrospettiva spirale
turbinano venturi istanti ed alterandosi l'assurdo in reale il veritiero diviene incerto
ed è proprio là che i tuoi demoni zompeggiano.

Il confine è sottile,poco diversi i due mondi ed alzandosi lucente sipario
ancora mare,ancora terre e di nuovo il sole e le stelle
ancora uomini,ancora donne e poi il tempo e quei demoni..

E quali icone ammaliano la tua veglia?
Di quale veduta addobbi il verace?

Quando in sogno vivi e in vita sogni.

ICONOCLASTIA.

Seduta sulla cima del mondo
osservo in silenzio la porta dell'oblio
mentre l'occhio notturno del cielo
veglia su di me e sui miei pensieri
riflessi nei suoi plastici ibridi.
E' in queste menomi parti di tempo
che compio catacresi dei miei luoghi
poichè da questa veduta essi
pompeggiano sfarzosa bellezza ed
io speranzo il loro perdono.


Ma è sempre in queste menomi parti di tempo
ed è sempre su questa veduta che non
riesco a trattenere detonazioni delle
spere della sostanza mia e le
sento piombare nel vestito vuoto
quasi quei luoghi divenissero
caleidoscopica sembianza di me.


Ed è ancora in queste menomi parti di tempo
ed è ancora su questa veduta che sperimento
la cristallizzazione della mia anima
sparpagliandola in tutti i miei dintorni...
Qualcuno noterà quei riflessi di diamante?
E ne vorrà fare cupile ghirlanda?
Speranzo, speranzo ancora
ma a volte percepisco un presentimento infinito,
infinito presentimento d'iconoclastia.

QUEL GIORNO.

Quel giorno
mi chiesero se credessi nell'amore.
Sorridendo risposi
d'aver bisogno di credere nell'amore.
Perchè ho vinto la battaglia contro l'oscura falce.




Quel giorno
mi chiesero perchè credessi nell'amore.
Sorridendo risposi 
d'aver bisogno di credere nell'amore.
Perchè altrimenti dovrei riconoscere un crimine in un'ingiuria.




Quel giorno
mi chiesero se temessi di credere nell'amore.
Sorridendo risposi
d'aver bisogno di credere nell'amore.
Perchè ho imparato che la paura è la madre del coraggio.




Osservandomi in un riflesso,
quel giorno 
mi chiesi cosa pensassi dell'amore.
Piangendo risposi:
"Come l'aria
quando sai che non potrai più respirare."